Se essere considerati affidabili, degni di stima, insomma in qualche misura “benvoluti” è una aspirazione e forse perfino un desiderio primario di ogni essere umano, dopo la rivoluzione digitale e l’avvento dei social e degli smartphone è anche diventata una necessità sociale e lavorativa.
Oggi il concetto di reputazione può determinare il destino non più solo degli individui, ma anche di istituzioni, aziende, organizzazioni, enti, media, che infatti investono cifre elevatissime per tutelarla e gestirla; perché un post sui social, una dichiarazione fraintesa, un’accusa non provata possono innescare crisi gravissime per un’azienda, un ente, un’organizzazione, un professionista, un personaggio pubblico o anche per una semplice persona, su scala globale. Quello che succedeva ieri – una maldicenza, una frattura fra l’apparenza e l’identità, il pettegolezzo poco innocente – succede anche oggi nell’infosfera, l’ecosistema informativo in cui agiamo, dove non conta solo la realtà dei fatti, ma la percezione collettiva che si crea e si diffonde a macchia d’olio.
Un esperto di digitale e una scrittrice e filosofa insieme per parlare di reputazione, online e offline, da un punto di vista tecnico, collettivo e concreto e anche da una prospettiva socio-antropologica raccontata dalle storie dei singoli.