Troppo spesso dimentichiamo le parole degli altri, anche quando possono aiutarci a capire chi siamo. Ci accontentiamo di moltiplicare in serie sempre gli stessi sguardi, sugli stessi argomenti; scegliamo ciascuno il suo calco preconfezionato e in esso nuotiamo, fraintendendone l’orizzonte: è solo un bicchiere e ci sforziamo di credere che sia il mare.
Dal mare autentico, invece, arrivano mille voci, mille scansioni dello spazio e del tempo. E tutte raccontano la natura umana, le sue contraddizioni, le sue ambizioni, così simili a ogni latitudine.
La poesia è disintossicazione dalla lingua unica delle autorità morali e dei pregiudizi.
Traduciamo quei suoni, decifriamo quei segni, o semplicemente ascoltiamo. E allora iniziamo a comprendere come e perché la vera poesia è un esercizio universale di libertà.
Come le navi vanno in porto, impreviste e colorate, arbitrariamente dirette a quella riva che chiamiamo casa, così la poesia del mondo raggiunge queste letture. La ascoltiamo pronunciata nella lingua in cui è stata pensata, e poi detta nella nostra. È un tentativo di avvicinarne i segreti, con la voce, con le immagini che essa suggerisce, con la parola detta e cantata: quando il mondo entra in porto, lo fa cantando.
Poesie di epoche trascorse, di paesi che il più delle volte sappiamo solo equivocare, ci sorprendono in questo viaggio, si mischiano a quelle nate nei luoghi delle nostre vite, dove ancora possiamo consultarle, se solo lo vogliamo. Scopriamo continenti, regioni, città e mari, conosciamo migranti e viaggiatori, osservatori e pensatori, donne e uomini che hanno affidato alle parole la velleità o la certezza di una permanenza.
Quando anche l’inchiostro è abraso, quando anche il significato si fa oscuro, la poesia rimane ancora, rimane ancora finché possiamo dirci umani.
Letture a cura di: Lia Careddu, Maria Loi, Felice Montervino e Fausto Siddi
Musiche a cura di Safir Nou