Una storia esemplare, una storia con tante aperture e nessun finale possibile: solo la nettezza di quella domanda senza punto interrogativo, “Cos’hai da guardare”.
«Demoni cercano angeli, non si sa se per divertirli o per farne trofeo, o chissà se nella noia della cattiveria c’è un trasgredire a essere buoni»
Lui, Roberto Rondelli, è uno degli ultimi “maledetti” della canzone e della poesia italiana, un artista che porta con sé la beffarda, dolente, orgogliosa eredità umana e politica della sua Livorno, fondata, come racconta lui stesso, “da ladri, prostitute, prigionieri politici”.
Rondelli ha scritto e continua a scrivere canzoni che sanno di amori difficili, di rabbia e malinconia, e soprattutto continua a fare del palco, da vero performer, la sua vera patria, mescolando il graffio della comicità e della provocazione al ripiegamento della ballata.
In Cos’hai da guardare Rondelli fa i conti con chi l’ha messo al mondo, con la città che lo ha visto crescere, con le donne – beatitudine e dannazione -, con la solitudine, con l’alcol e la droga, con la musica – sfida e bellezza. Attraverso uno sbilenco andare e venire di immagini e un benefico disordine degli affetti tornano la dolce figura della madre, lo sguardo interrogativo del padre, i fantasmi dell’apprendistato sessuale, le prime grandi avventure musicali (i Beatles, Lou Reed, Iggy Pop ma anche Guccini, e naturalmente il faccia a faccia con l’altro grande livornese, Piero Ciampi), il premere del mondo a cavallo del millennio, il dolce sgomento di avere figli a cui passare il testimone. Lo vediamo farsi portare in galera per “atti osceni”, patire la morte dell’amico bassista Alessandro, suonare per ragazzini leucemici, ricominciare sempre da una donna, vivere la nicchia preziosa della propria arte come la vera salvezza.