Proposto per il Premio Strega 2020 da Michele Dalai.
Alatri, provincia di Frosinone, nel cuore della Ciociaria. Nella notte tra il 24 e il 25 marzo del 2017 un ragazzo, Emanuele Morganti, viene picchiato a morte davanti a una discoteca. Nessun movente che possa spiegare la violenza degli assassini, arrivati a sfondare il cranio a un ventenne che stava trascorrendo una serata come tante tra amici. Difficile ricostruire il groviglio delle circostanze in cui tutto è accaduto in questa cittadina che all’improvviso si ritrova catapultata su giornali, telegiornali, social, trasmissioni d’intrattenimento tra lo sconcerto, la rabbia, la voglia di denuncia, mentre l’Italia intera, commossa, famelica, o soltanto curiosa, si stringe attorno alla famiglia e alla comunità in un cocktail di dolore vero, gogne mediatiche, aggressioni via web, speculazioni… Poi, dopo tanto clamore sul «delitto di Alatri», arriva l’oblio. Ed è in questo oblio, nel cono d’ombra in cui si affollano interrogativi e ferite, che s’inabissa il romanzo-reportage di Daniele Vicari, con il pudore di chi ha intimità con quei luoghi, i boschi di castagni tanto amati da Emanuele; quella provincia in cui convive tutto (degrado, locali trendy, riti e saperi arcaici); quella famiglia Morganti di cui l’autore prende a seguire le esistenze quando sembra non ci sia piú nulla da raccontare. Perché è lí che risuona la verità piú umana e profonda, se ci si mette in ascolto, ad esempio, di Melissa, sorella di Emanuele, che non si ferma davanti a nessuna soglia, nessuna domanda, nessun pericolo pur di accertare i fatti, ovunque si possa carpire un briciolo di senso nell’insensatezza. È lí che si ritrova Emanuele vivo, il ragazzo innamorato della natura e della vitalità, se si seguono le parole di un padre come Peppe. È lí che rivive ogni memoria se si sanno cogliere i gesti e le frasi di una madre come Lucia con la sua compostezza e determinazione nel prendersi cura di quel che le resta del figlio: una tomba. Ed è lí, infine, che si dipanano fili e frammenti segreti che collegano fatti, circostanze, amici fraterni, nemici camaleontici, opportunisti, delinquenti, sbruffoni, una comunità intera che va ben oltre i confini della provincia e, con le sue contraddizioni abissali, interroga l’Italia tutta, i mass media, la gente comune, e persino chi, come Daniele Vicari – da regista e ideatore di storie in cui la verità e l’immaginazione si mescolano – contribuisce a creare mondi che, in una distorsione folle quanto imprevedibile, potrebbero anche fare da sfondo a gesti inauditi. Perché “Emanuele nella battaglia” è uno di quei libri in cui, alla fine, non si risparmiano domande scomode e disagi nemmeno a chi prova a ricostruire, scrivere, restituire e far durare nella memoria collettiva le pieghe piú segrete di quella stessa storia.
Proposto per il Premio Strega 2020 da Michele Dalai: «Emanuele nella battaglia (Einaudi editore), è un libro importante per capire chi siamo, cosa siamo diventati, quanto sia pericoloso quaggiù, quanto sia importante arrampicarsi e guardare dall’alto, da dove violenza, micro e macro criminalità, crudeltà e omertà sembrano tanti puntini uniti da un tratto unico, riconoscibile e tanto più netto quanto più si sale, una figura geometrica che si chiama Italia. Un lavoro fondamentale per ciò che mostra senza chiedere al lettore di aderire a una teoria, lasciandogli lo spazio del respiro e dell’angoscia. Una delle scene più potenti e terribili di Shoah è quella in cui Lanzmann inquadra un campo verde, l’erba alta scossa dal vento, un prato dove un tempo stavano le baracche del campo di concentramento. Dire l’indicibile. Vicari lo scrive. La gita in montagna di Emanuele e Federico, liberi nel silenzio e nelle infinite possibilità della vita è l’indicibile, la bellezza più straziante, il ricordo di quel che eravamo, che potremmo essere, che non saremo.»